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Ignoro quale dinamica spinga l’uomo a scegliere la cravatta del mattino. Posso ipotizzare che il criterio principe sia cromatico e che il nostro, nell’oscurità imposta dal rispetto coniugale, tenti di abbinare la cravatta al completo preventivamente selezionato, sperando di aver imbroccato le tinte al buio.
Io, invece, parto dai calzetti, anche se li detesto. I bastardi scompaiono, cambiano forma, si bucano, sono accoppiati male per foggia, marca, modello anche se spesso subdolamente si assomigliano. Proprio per questo parto da loro: vedo ciò che passa il convento, ci abbino il vestito e solo dopo arrivo a scegliere il cappio elegante, sempre che la situazione lavorativa lo imponga.
L’altro giorno, però, ho realizzato che i suddetti criteri non sono esaustivi. Esistono anche scelte che sono mosse da elementi soprannaturali, ipercinetici, metempsicotici, telepatici. Avevo un incontro con una collega brasiliana insieme a colleghi istituzionali. Insomma: la formalità si intrecciava con l’amicizia, la conoscenza e si sfiorava con la saudade. Metto d’impulso una cravatta rossa e penso – non so perché – proprio a uno dei colleghi che andavo a incontrare. L’epilogo è intuibile: io e questo collega indossavamo una cravatta rossa. Stesso criterio? Lui veste spesso con cravatte di quella tinta? Un caso? Una magia? Non lo so.
Comunque sia, alla fine, ciò che veramente vi interessa – ammettetelo – è sapere se la collega brasiliana fosse gnocca o meno.
Non saprei. Però era molto competente. Molto.