Martedì sera mi domandavo: ma sarà educativo consentire la visione del festival dei fiori al mio primogenito, musicista in erba?
Lo so, “musicista in erba” ricorda il Grande Escluso, su cui peraltro torneremo appresso, ma ora retoricamente mi chiedo: non dovrebbe esserci un’etica della musica, una soglia minima di decenza che impedisca la rappresentazione di alcune evidenti oscenità?
Non ce l’ho col festival, anzi vetrina importantissima, grandioso spettacolo nazional popolare, festa della televisione pubblica e bla bla bla. Ce l’ho con chi ha selezionato alcuni pezzi con sadico retrogusto trash, solo per creare attesa e gossip sull’evento mediatico. (Ché, magari passava in sordina?)
Alla prima stecca di Toto Cutugno il piccolo musico si è coperto il viso con le mani. Alla seconda mi ha guardato incredulo. Poi gli è stato inflitto in sequenza devastante: Pupo e l’odioso esilio savoiardo e infine l’eutanasia che credo tutti concederemmo a Povia senza rimorso alcuno. In famiglia ho sentito: abbattiamolo a badilate. E siam democratici.
S’è censurato giustamente l’elogio della sostanza psicotropa, ma in fondo un festival della musica solo canzoni dovrebbe proporre e allora, benedettiddio, che si bandisca con altrettanza fermezza l’oscenità cacofonica e l’idiozia conclamata dei testi.
Certo: a Sanremo mica si ascoltano pezzi memorabili per armonie o parole, come, d’altro canto, se vai in un rifugio alpino non mi ordini le cozze. Ecco, però un conto è la banalità, che ti scivola, altro è l’oscenità, che invece t’offende.
La musica è una delle migliori espressioni dell’anima; facciamo che non regredisca a maleodorante deiezione somatica.
(Questa è la modalità Savonarola. E oggi va così).