Il rapimento di un’emozione e la sua detenzione imperitura in confini geometrici. Questo è per me la fotografia. E passi che in “post produzione” il fotografo ritocchi saturazione, contrasto, luci e colori, per riportarli a ciò che ha impressionato la sua retina o che la sua mente ha involontariamente mediato, ma photoshop, cazzo no, no e ancora no.
Photoshop è la mistificazione dell’essere, l’inganno della mente, la negazione della realtà terrena e lo si tollera giusto per mercanteggiare prodotti, molto meno se ha fini anoressizzanti sulle modelle.
Modificare digitalmente la struttura di un’immagine significa falsificare la realtà immortalata, (laddove immortalare ha un che di immutabile e definitivo, non a caso). Non si inganna la fonte stessa dell’emozione, e non ci si burla delle emozioni degli spettatori.
Ingenuo che sei, mi han detto, tutti ritoccano le foto. No, mi spiace, esiste un limite etico che informa le opere degli artisti fotografi e li differenzia dai pubblicitari, posto che i primi ti legano per istanti bellissimi alla loro cruda realtà, i secondi ti inducono futili bisogni.