Ma che fine hanno fatto gli uomini? Questo mi chiedono le amiche, per inciso carine, giovani (almeno dentro), acute e papabili (anche nelle versioni pappabili e palpabili), ma inesorabilmente non accompagnate. Insomma, pare proprio che vi sia penuria (va’ che significativa assonanza).
Eppure, girando per la rete, tipo friendfeed, blogosfera, socialnetwork, tumbler, twitter, fucker and so on, sembra che i maschi soli siano un reggimento, tutti spregiudicati dietro lo schermo piatto, tutti trombeur de femme, tutti allupati a chiedere coccole elettroniche, easy petting, light sucking e paciugarti vorrei. Ma molti anche ad offrire poesie, dispensare tenerezza, regalare sensibilità e prodursi in spremute di cuore. Sono fantastici gli uomini della rete quanto a espressività dei sentimenti ad esternazione dei bisogni dell’animo e dichiarazioni d’amor. Ma allora perché non si incrociano domanda e offerta?
La colpa è della timidezza. Le anime blogghe son disadattate; accusano problemi relazionali ed espressivi e danno il meglio nascoste dall’anonimato elettronico. Davanti alla tastiera dicono cose che dal vivo non riuscirebbero nemmeno a pensare; col mouse raggiungono livelli di raro lirismo che di fronte ad un pubblico nemmeno balbetterebero paonazze. Rare le eccezioni, tra cui m’includo, non tanto per i disturbi del comportamento, che condivido, quanto per l’espressività, che mi dà da vivere.
La soluzione ci sarebbe: andrebbe mischiata con coraggio la rete col mondo reale, introducendo a internet i refrattari e facendo alzare i disadattati dalle sedie, che aprissero la finestra per mostrare gli occhi al mondo, incontrandosi non solo tra loro nei camp, oasi impermeabili a chi non mastica di blogosfera, ma nelle piazze o attorno a tavole imbandite.
L’esperimento io l’ho fatto ed è riuscito benissimo, tanto che ultimamente ho adottato una blogger di successo: la sfamo, la porto in vacanza, le dispenso consigli inascoltati (comunque tardivi) e in cambio ricevo il suo amore vellutato e imprescindibile, generato da un cuore così grande che ha dovuto farsi crescere le tette per nasconderlo (e qui lei mi piange. E ne ha ben donde).
Non è facile svelarsi al mondo, abbandondando la comoda coperta dell’anonimato. Significa porsi di fronte ai propri fantasmi, alle sempiterne debolezze, alle placide insicurezze, ma se ne esce più consapevoli, più forti, più belli, anche.
Perché il bello delle relazioni umane sta nell’associare le parole alla carne.