Chiarissimo dottor Nori,
Vi metto a parte, con questa mia, di un increscioso episodio occorsomi proprio ieri, all’ombra dei veronesi ruderi.
Giunto in una graziosa libreria, ebbi a domandar nuove sul Vostro scritto intitolato si chiama francesca questo romanzo, non rinvenendo nemmen una misera copia negli affollati scaffali testè consultati. L’operatore, dopo un accesso all’elaboratore elettronico, mi svelò che il romanzo non era colà annoverato ed era pressoché…. introvabile!
M’assalì allora un sentor d’angoscia degno delle peggiori sventure.
Perché dovete sapere, chiarissimo Dottore, che l’opera Vostra non era destinata ad allietar le mie notti insonni, bensì ad alleviar le pene di un’amica cara, di cui, per pudor mio e pudicizia di lei, non svelerò anagrafe alcuna.
Ella si ciba invero degli scritti che portano la Vostra firma, diciassette, se non vado errato, e con tale contegno ha finito per sviluppare una sorte di dipendenza fisica e finanche psicologica che la porta sovente a riferirsi a Voi quasi, mi perdoni la licenza, come un dio pagano. Non v’è conversazione in cui ella non infili, spesso a cazzo, la nomea Vostra, graditissima si badi, ma ahimé inconferente col tema trattato nel frangente.
Mi giungono allertate voci patavine sull’astinenza della poverina, aggravata da schiuma alla bocca, frasi sconnesse, degenerati costumi sessuali durante riunoni sediziose che s’ostina ad appellar rooster party. Non Vi nascondo l’apprensione che tutto ciò comporta in noi che ci prendiamo amorevole cura della sventurata.
Solo facendole dono del romanzo sopra citato riuscirò ad alleviar tanta pena ed è per questo che ho avuto l’ardire di scomodar la Signoria Vostra per conoscere il luogo ove acquisir, al soldo, s’intende, lo scritto in questione.
Nel ringraziarVi per tanta comprensione, Vorrete gradire le più splendide attestazioni di stima da colui che ha in comune con Voi una sol cosa. Pancetta.
SQ